La scadenza del campionato europeo di calcio si sta avvicinando e sono molti i paesi sempre meno convinti del fatto che si debba giocare a tutti i costi.
Oltre a quella che sta occupandosi dell’emergenza degli ospedali e dei contagiati c’è una seconda unità di crisi che riguarda il coronavirus e che sta interrogandosi su qualcosa di meno immediato ma ugualmente problematico. I campionati europei di calcio.
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Da quando il coronavirus si è affacciato in modo prepotente sullo scenario europeo la Uefa ha aperto un tavolo di emergenza per verificare rischi e probabilità circa la realizzazione del campionato. E i rischi nelle ultime settimane avrebbero di gran lunga scavalcato e i vantaggi di una organizzazione che ormai è in modalità avanzata.
L’Edizione 2020, pensata quando il coronavirus non era nemmeno nelle più remote possibilità, è una delle più grandi e difficili di sempre. Ventiquattro squadre partecipanti suddivise tra doidici città di altrettanti paesi. La singolarità del campionato è proprio questa: non c’è un solo paese organizzatore. L’organizzazione è continentale. Si va da Baku, Azerbaijan, a Dublino passando per Roma, Monaco di Baviera, Budapest e Copenhagen solo per citare alcune delle città teatro delle gare principali e chiudersi a Londra con Wembley che ha in programma tre eliminatorie, un ottavo, un quarto di finale e la finalissima. I biglietti sono già in vendita da un pezzo, quelli delle gare principali sono praticamente esauriti. Alle squadre partecipanti mancano solo quattro nomi che saranno resi noti a fine mese dopo i cosiddetti play-off di lega, quattro quadrangolari che aggiungerebbero le ultime iscritte. Si tratta dell’europeo più ambizioso, difficile e costoso mai realizzato.
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L’idea della UEFA era quella di dare vita a un vero e proprio Festival Europeo del Calcio che offrisse la massima condivisione possibile sia dal punto di vista organizzativo che di pubblico. Si puntava non solo al record assoluto di biglietti venduti ma anche a quello di tifosi in movimento da un lato all’altro dell’Europa. Tutto molto bello: ma anche tutto estremamente rischioso in un’epoca di coronavirus.
I paesi che hanno espresso molte perplessità cerco questa organizzazione sono già diversi, tra i quali l’Italia che vedono a Roma la gara inaugurale, tre eliminatorie e un quarto di finale. Alcuni hanno presentato una nota scritta alla Uefa chiedendo se sia davvero il caso, in un’emergenza di questo tipo, aprire le frontiere a un flusso di centinaia di migliaia di tifosi per tutta l’Europa. La Uefa che fino a questo momento non ha mai messo in dubbio l’organizzazione del suo campionato Europa 2020, ci sta ragionando: ma le soluzioni non sono molte. Il calendario degli eventi, considerando le qualificazioni al prossimo mondiale in Qatar, e tutti gli altri eventi già in programmazione, è estremamente compresso. Rinviare all’anno prossimo sarebbe un rischio enorme e porterebbe quasi certamente a un grave danno economico. Forse sarebbe addirittura meno costoso annullarlo ma sarebbe anche un grande segno di debolezza da parte della federazione europea che vorrebbe evitare un’esposizione di questo tipo.
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Il dibattito è aperto: è vero, si giocherebbe all’aperto ma i trasferimenti sono un problema enorme
non solo per i tifosi ma anche per le squadre. E bisognerebbe studiare un protocollo di sicurezza ad hoc per un’emergenza senza precedenti. Il tempo stringe, il silenzio della Uefa non aiuta. Ogni settimana che passa è sempre più probabile l’annullamento anche perché, ogni settimana che passa, il virus sembra aggiungere i territori alla propria conquista e ampliare in modo sensibile il problema.
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