“Se devo parlare con degli imbecilli, preferisco morire solo”. Addio ad Ezio Vendrame

 

Fuoriclasse dai numeri tecnici da giocoliere e funambolo, Ezio Vendrame si è spento a Treviso dopo una lunga lotta contro il cancro. Fece notizia quando le notizie occupavano troppo poco spazio. Segnò gol incredibili e prese in giro tutti. Pure Rivera, il suo idolo: cui fece un tunnel per poi fermarsi e chiedergli scusa.

Prologo: Franco Scoglio disse…

“Ci sono quattro tipi di calciatori: i giocatori, e quelli li trovi un po’ dappertutto, alcuni giocano a calcio ma non sanno nemmeno perché sono in campo. Ti devi organizzare e farne una squadra, sono il 98% di quelli con cui lavorerai. Ci sono i fenomeni, e di quelli se sei fortunato ne alleni uno nella vita, a me non è mai successo. Ci sono i fuoriclasse, e quelli li ho allenati anche io… ma proprio pochi. E poi ci sono i geni ai quali non ti azzardi nemmeno a dire nulla. Troppo facile dire Zico, Maradona, Cruijff o Pelé. Io dico gente come Zigoni, Vendrame, Rotella, Meroni, Re Cecconi, Best, Overmars. E alla gente che non capisce dico di fottersi e di giocare a tennis”.

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Ma chi era Vendrame?

Franco Scoglio, detto il professore, tragicamente scomparso alcuni anni fa mentre parlava del suo Genoa in una diretta televisiva, regalò questa perla a pochi amici con i quali come sempre parlava di calcio. Chi scrive ebbe la fortuna di lavorare molti anni con Scoglio, era uno dei miei opinionisti ad Antenna Tre Lombardia quando il termine opinionista aveva ancora un senso e si riusciva ancora a parlare di calcio. Il mio compagno di merende era Maurizio Mosca del quale proprio ieri ricorrevano dieci anni dalla morte. Il miglior collega che abbia mai avuto, la persona con la quale mi sono divertito di piu in assoluto. Ma se di Zigoni avevo visto qualcosa, di Re Cecconi conoscevo la storia e l’incredibile morte, se Rotella era un amico (anche lui scomparso troppo presto), di Best avevo letto moltissimo e di Overmars avevo pure la maglia, di questo Vendrame non sapevo molto. Per cui una sera, dopo una trasmissione, quando il prof disegnava la sua zona tra forchette e bicchieri facendo spazientire Maurizio che invece voleva ordinare il dolce, mi scappò una domanda che non avrei dovuto fare: “Mi scusi prof… ma questo Vendrame, precisamente… chi è?”

Apriti cielo

Per prima cosa il prof mi insultò intimandomi di tagliarmi i capelli e mettermi a dieta e poi attaccò. “Vendrame era uno che non amava le cose facili e se erano facili non gli riuscivano. Lui le doveva fare difficili perché solo così gli piacevano e solo così gli riuscivano”. E mi feci raccontare alcuni aneddoti, anche Maurizio ne conosceva diversi. Capelli lunghi, basette da fricchettone anni ’70 , Ray Ban Aviator a goccia arcuati a forza a costo di romperli, Vendrame era l’imprevedibilità.

Aneddoti e leggende su Vendrame e altri geni

Mi raccontarono di come per scommessa andasse palleggiando dallo spogliatoio del Menti di Vicenza al Bar Garibaldi, tenendo il pallone in equilibrio tra un piede e l’altro pur di farsi pagare il caffè. Ma anche di come, sempre per scommessa, accettò di palleggiare per due ore di fila solo con il piede sinistro, il ginocchio destro e le spalle. Senza usare la testa né il piede destro… due ore di fila. Solo che quando mancavano dieci secondi allo scadere del termine, fece cadere a terra il pallone e pagò la cena: “Mi ero rotto le balle”.

C’erano poche persone in grado di fare cose del genere. Una di queste era l’immenso Franco Rotella, un altro amico perso troppo presto per strada e che mi manca immensamente. Mi spiace che pochi abbiano tra le foto del loro salvaschermo la sua figurina. Io l’ho conosciuto come calciatore quando ero un cronistino, anche se lui era poco più giovane di me. Franchino partiva dalla chiesa di Quezzi, il quartiere di Genova dove era nato, molti, molti gradini più in alto, e scendeva palleggiando con il piede destro fino sulla piazza. Per risalire palleggiando con il piede sinistro. Un talento mai visto.

La sua passione era fare il tunnel a Montero: quello che avevano soprannominato MonToro. Giocarono insieme all’Atalanta. Montero insieme a Pasquale Bruno era considerato il giocatore più feroce della Serie A, un animale. Ma quando Franchino lo saltava in dribbling in allenamento, scrollava la testa e non gli faceva nemmeno un tackle. Ultima amichevole di Franco Rotella, ormai a fine carriera, a Imperia… i neroblu giocano con la Juve che schiera Montero. E Franco, numero 7 sulle spalle, si divertì a fare diventare matto l’amico a suon di dribbling e tunnel. Uscirono abbracciati dal campo. “Cosa gli vuoi fare a quello lì – disse MonToro – gli spari?”

La vita continua, in qualche modo

Un po’ come accadde con Vendrame che ebbi il piacere di conoscere e intervistare diverse volte, soprattutto in occasione della presentazione dei suoi libri, io e Rotella diventammo amici a fine carriera, quando lui iniziò come come commentatore. Lavoravamo insieme in una tv a Genova. In uno dei periodi più bui della mia vita Franco fu un faro accecante: porto il suo sole tatuato sul polso destro con la frase che mi diceva sempre, “Fai come vuoi”.

In tv si rideva come pazzi e si parlava di calcio sul serio. Era arrivato al punto di presentarmi persino un’amica, bellissima. Che ovviamente divenne solo una buona amica. Un giorno ebbi ospiti in studio Scoglio e Rotella, insieme. E chiesi a Scoglio perché era così difficile per un pragmatico come lui allenare talenti come quelli di Rotella: altra citazione del prof… “In allenamento lo dovevo frenare e a volte togliere dal campo perché mi sballava la squadra…”

Ezio Vendrame, in un’immagine di repertorio con la maglia del Vicenza

Un uomo, una sceneggiatura

Se Rotella, il 20 di questo mese saranno undici anni che non c’è più – aveva solo 42 anni quando se ne è andato per un melanoma – era un raffinato ed elegante artista del pallone, Ezio Vendrame era un anarchico bombarolo.

Non era un personaggio da film. Era un film: quando ho visto “V come Vendetta” con le sue citazioni cinematografiche e poetiche ho detto, “V come Vendrame!”

Finì in orfanatrofio a sei anni perché la famiglia non poteva occuparsene e lì iniziò a giocare a pallone facendo passare il pallone dai posti più strani. Il tunnel era la sua specialità: ne fece a centinaia solo per scroccare la merendina o la frutta. Quando iniziò a giocare a pallone sul serio si racconta che affrontò stopper e difensori che ci mettevano due secondi a piazzarti i tacchetti sulle orecchie. Solo che con lui non ci riuscivano: era sgusciante come una lucertola, infido come un serpente. Capello disse: “Lui guarda a destra, ma punta a sinistra e quando ti rendi conto che sta facendo una finta con il bacino ti ha passato e non sai come ha fatto… mi faceva incazzare come una bestia”.

Il tunnel a Rivera

Si gioca a San Siro: “Vedo che mi punta ma guarda a destra – raccontò Gianni Rivera, all’epoca in cui subì un leggendario tunnel da Vendrame – figurati se mi vuole fare il tunnel, penso io. Ma ero un po’ troppo aperto e mi fece un tunnel da paura. Io rimasi impastato al terreno. Poi tornò indietro e mi chiese scusa dicendomi che io ero il suo idolo”. Vendrame ricorda il tunnel al suo idolo Rivera quasi con fastidio: “Vedo che si sgancia dalla barriera, era il quinto e aveva le gambe un po’ troppo aperte. Mi è dispiaciuto fargli un tunnel ma sai com’è… se nella vita tieni le gambe aperte sai già che cosa ti devi aspettare”.

Le regole di Ezio Vendrame

Vendrame non era Capello. E nemmeno Rivera, e nemmeno Zoff: gli piaceva il calcio ma preferiva le donne. Una volta rivelò di aver finto coliche allo stomaco per due mesi perché si era innamorato di una splendida donna che faceva la vita. E lui di allenarsi non ne aveva voglia. Detestava le regole: gli ricordavano l’orfanatrofio e una suora che lo pestava sulle ginocchia se faceva qualcosa che non andava… “la odiavo quella stronza”.

Vendrame non si negava niente, era convinto di avere delle cose da raccontare e le sapeva anche scrivere. Era un poeta contorto e a tratti un po’ lancinante, ma drammaticamente acuto.  Amava Pasolini, Fellini, Sergio Leone e citava a memoria diversi detti di filosofi greci e latini. Sapeva di essere circondato da una massa di idioti ingozzati a panem et circenses e da pochissimi amici. A volte litigando con gli uni finiva per mandare a quel paese anche gli altri ma poi lo ritrovavi sempre pronto a riallacciare il dialogo.

Giocava se e quando ne aveva vioglia: e se decideva di farlo giocava solo lui. Non ti faceva vedere la palla nemmeno con il binocolo. Gli bastavano tre o quattro dribbling a partita per incantare i tifosi e due partite da padreterno per strappare il contratto dell’anno dopo. A spingerlo non erano tanto i soldi, quanto il desiderio di appagare il pubblico: o di farlo incazzare.

Tutte le follie di Ezio Vendrame

Quando i ritiri non c’erano ancora, lui la notte prima di qualsiasi partita la passava con una donna. E andava in campo “scoppiato come la Polonia invasa dai nazisti” mi disse una volta. Ma quando era in giornata era immarcabile. Il denaro gli piaceva molto ma le donne gli piacevano infinitamente di più. Quando qualcuno dell’Udinese, la sua ex squadra, gli offrì tanti soldi per “giocare con calma” (guadagnava un gettone di 42mila lire a partita e altrettante per ogni gol e gli avevano offerto sette milioni per fare finta di stare in campo), non mandò giù alcuni mugoli dei tifosi friulani. Dunque si prese in braccio la squadra: doppietta. La seconda rete la segnò direttamente dal calcio d’angolo dopo aver avvertito i tifosi avversari della curvetta, che gli stavano tirando qualsiasi cosa, che avrebbe segnato di lì. Si soffiò il naso, calciò, e fece gol.

Ezio Vendrame come Meroni

Quando gli dissero che più matto di lui c’era stato solo Gigi Meroni, indimenticabile asso di Genoa e Torino, tragicamente investito mentre attraversava la strada all’apice della sua carriera, si fece procurare una gallina. Meroni era famoso perché portava a guinzaglio una gallina. E lui girò vestito elegante per Vicenza con la sua gallina a guinzaglio dicendo agli amici del bar, “ditemi solo da dove arriva la macchina”.

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I soliti dati

I dannati articoli in cui si parla di chi ci ha lasciato pretendono che si scriva il database. Esordio nel 1967 alla Spal, dieci anni di discreto professionismo con qualche pausa retorica tra Siena, Torres, Rovereto, Vicenza e due anni indimenticabili a Padova, tra il 1975 e il 1977. Questa è roba che trovate ovunque.

Quello che non sapete è che Vendrame scriveva meglio di tanti giornalisti che si affannavano a spiegare la sua vita da giocatore in fuga. Lascia un ricordo indelebile in chi, come me, lo ha scoperto troppo tardi da poche immagini di repertorio, dal racconto di chi ci ha avuto a che fare e da un paio di chiacchierate che custodisco con gioia e che mi convincono sempre di più che alla fine nel calcio chi vince va nell’almanacco, ma nella testa di chi resta rimane solo chi ti ha divertito davvero. L’ultima chiacchierata fu di fronte a un risotto trevisana e salsiccia, con abbondante vino rosso. Lui mi parlò molto di donne, ne aveva avute davvero tantissime. Io gli parlai soprattutto di sfiga.

Cosa ci lascia Ezio Vendrame

Ezio Vendrame lascia anche una dozzina di libri, solo in parte pubblicati e disponibili:  e almeno una trentina di racconti brevi e raccolte di poesie oltre ad altri libri sotto pseudonimo. Alcuni non li firmò nemmeno. Di lui consiglio “Una vita in fuori gioco” (‘fuori gioco staccato mi raccomando’ mi disse), “Calci al vento”, “Se mi mandi in tribuna godo” che si trovano e devono essere letti, possibilmente ai bambini che pensano che il calcio sia un lavoro che rende miliardari e non il gioco più bello del mondo. Ma anche raccolte di versi come “Le poesie di un non poeta”, “Farabutto esistere” e quello forse più doloroso “Il mio cuore stuprato”. La controcopertina di questo libro è la citazione più bella di un anarchico avverso al sistema e fedele solo a se stesso: “Quando la terra mi scoprì flirtare con la luna, s’inclinò, relegandomi nel destino di un’irta salita”.

Caro Ezio, caro Franco, caro prof. Era meglio prima: quando eravamo tutti un po’ più scemi e l’emozione ci faceva ancora battere il cuore. Grazie per avercelo ricordato.