Fiorentina, Prandelli: “Firenze è meravigliosa, Vlahovic è fortissimo”

Il tecnico bresciano rivive le sue passate stagioni in riva all’Arno. Prandelli ha poi parlato dell’attuale Fiorentina, evitando paragoni scomodi: “Vlahovic come Toni? È presto per dirlo”.

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Cesare Prandelli – meteoweek.com (photo by Getty Images)

Cesare Prandelli è tornato a Firenze, una città che ritiene ormai la sua seconda casa. Il tecnico della Fiorentina sta cercando di risollevare le sorti di una squadra che, sotto la guida di Beppe Iachini, stava naufragando. La vittoria ottenuta nello scorso turno di campionato contro il Cagliari ha restituito un po’ di ossigeno ai viola. Ora però c’è da dare continuità per una squadra e una piazza che non meritano, anche per la costruzione avvenuta nei mesi scorsi, una semplice lotta per la salvezza. Prandelli lo sa, ma sa anche che non sarà semplice.

Intervistato per il numero di questa settimana del settimanale Sportweek, il tecnico di Orzinuovi ammette le difficoltà nel subentrare a stagione iniziata. Anche perchè ci sono diversi aspetti da considerare, soprattutto sul piano del parco giocatori: “Entrare in corsa rende tutto più complicato: è dura conoscere a fondo ventotto giocatori in poche settimane. Perciò preferirei che fossero loro a cercare di capire me. È complicato pure cambiare tanto e subito, perché il gruppo è ancorato a vecchie certezze e conoscenze. Io ho trovato disponibilità, ma il problema è proprio il numero: se hai ventotto giocatori, dieci sono scontenti, sempre. Preferisco avere qualche giocatore in meno, ma che si senta dentro al progetto Fiorentina“.

Tra i giocatori che spiccano maggiormente c’è Dusan Vlahovic. Il giovane centravanti serbo sta provando a trascinare la Fiorentina a suon di gol. Ma Prandelli vuole andarci piano, specialmente con paragoni pesanti come quello con Luca Toni:È presto per dirlo: ha vent’anni, molti se ne dimenticano. Toni ne aveva 27 e parecchi campionati alle spalle quando arrivò qui. Mi chiedono perché Vlahovic giochi. Gioca perché io ragiono da contadino: semino e raccolgo quello che semino. Oggi ho questi giocatori e per me sono fortissimi“.

Ma si può dire che Toni sia l’attaccante più forte che Prandelli abbia mai allenato? Il tecnico prova a rispondere con il consueto equilibrio, menzionando un altro grande giocatore che ha avuto alla sua corte: “In fase realizzativa, sì. Come potenzialità complessiva Adriano gli era superiore, ma non ha avuto la testa giusta. A Firenze Toni l’ho voluto io. Gli dicevo: ‘Non venire incontro, pensa solo a chiudere l’azione’“.

L’amore di Prandelli per Firenze

La sfida di Cesare – meteoweek.com (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Cesare Prandelli ama Firenze, e si può dire senza dubbio che si tratti di un amore corrisposto. Il tecnico ha da sempre portato nel cuore la città del Giglio, anche quando non è rimasto seduto sulla panchina viola. E forse l’attuale situazione di chiusura è un pugno nell’occhio per i fiorentini: “La città resta meravigliosa, ricca d’arte, invidiata perché è ancora a misura d’uomo nonostante le dimensioni. I problemi vengono risolti con l’ingegno, la fantasia. La zona di Oltrarno è frequentata non più solo dai turisti: ai fiorentini piace uscire, stare insieme. E quindi forse più di altri soffrono le restrizioni attuali“.

Per Prandelli, Firenze è stata anche la città che gli è stata vicino nel periodo di lutto per la perdita dell’amata Manuela. Ma è stata anche quella in cui ha conosciuto la sua attuale compagna Novella. Insomma, un destino già scritto: “La città mi ha sempre rispettato e lo ha fatto a maggior ragione in due situazioni private opposte, ma entrambe emotivamente molto forti. Credo di essermi saldato a Firenze con quelle parole dell’estate del 2006, quando dissi che sarei rimasto anche in B. Ci misi la faccia e i fiorentini hanno apprezzato. Con loro non devi bluffare. Se adesso ho accettato di rimettermi in gioco rischiando tanto, perché quel che ho fatto in passato non conta, è solo per restituire parte dell’amore che ho ricevuto da questa gente. Salvando la Fiorentina sarei in pace con me stesso“.

E poi ci sono i tifosi, che hanno sempre avuto delle pretese importanti ma non hanno mai messo l’amore in secondo piano. Anche perchè il calcio a Firenze si vive in maniera diversa, come ricorda bene Prandelli: “Agli inizi facevo fatica ad accettare l’imperiosità di certi giudizi. ‘Te dovevi vincere’, mi dicevano dopo una partita storta. Poi ho capito che è il loro modo di stare vicino alla squadra. Ripeto: i fiorentini non sono mai contenti. Si sentono i migliori, secondi a nessuno. Ma io preferisco una città viva e calda a una che si accontenta. Qui si vive per la Fiorentina. I bambini tifano per la Fiorentina e non per chi vince: ci vuole un gran coraggio. Vuol dire che la passione è radicata, è tradizione di famiglia, e tramandarla è un dovere“.

Gli anni d’oro

Prandelli ha avuto in mano la Fiorentina nel periodo dei Della Valle e ora la ritrova con un nuovo proprietario. Ma quali sono le differenze tra i “signori Tod’s” e l’attuale patron Rocco Commisso? “Coi Della Valle sono stato benissimo per quattro anni e mezzo, poi decisero di cambiare e ci siamo lasciati, ma come si fa tra persone perbene. La nuova proprietà considera la Fiorentina una famiglia e questo mi piace. Rappresenta un valore, non un limite. Commisso vuole bene alla squadra e tratta i giocatori come figli: mi ricorda la famiglia Bortolotti all’Atalanta. Lui e Joe Barone hanno portato alla Fiorentina la cultura americana, mantenendo i valori italiani“.

Il mister ha anche passato in rassegna le sue annate in viola. La prima fu quella in cui non si sapeva se i viola avrebbero giocato in serie A: “All’inizio ci avevano mandati in B, poi la penalizzazione di 19 punti ridotta a 15. La prima sera, nel ritiro precampionato di Folgaria, dissi ai tifosi: ‘Serie A o B, io resto a Firenze’“. Nel 2007/08 la beffarda eliminazione europea contro i Rangers ai rigori: “Palo, traversa, mille occasioni. Sbagliammo due tiri dal dischetto coi giocatori più bravi nel calciarli, Vieri e Liverani. Nel tirare si procurarono entrambi una frattura da stress“.

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L’anno dopo fu il primo in Champions. Ma anche il primo con Gilardino a Firenze: “Inconsciamente considerammo la Champions un premio per le stagioni precedenti, non avevamo la convinzione giusta per giocarla come si deve. Gila lo avevo avuto ragazzino a Parma, e aveva così tanta voglia di migliorare che diventava semplice allenarlo. Un venerdì mattina si presenta al campo mogio, con la testa bassa. ‘Che hai?. ‘Niente, niente’. Insisto, confessa: ‘Ieri non ho fatto gol’. ‘Ieri’ era la partitella del giovedì contro i dilettanti della zona…“. E poi il 2010, con la bruciante eliminazione contro il Bayern Monaco: “Della partita col Bayern dico solo che, ci fosse stato il Var, saremmo passati noi. Ma non esisteva, mentre esiste la sudditanza psicologica nei confronti del più potente. E quella sera il presidente della Uefa sedette tutto il tempo accanto a quello del Bayern“.

Cesare Prandelli e Martin Jorgensen – meteoweek.com (Photo credit should read GORM KALLESTAD/AFP via Getty Images)

Prandelli e il momento amarcord

In ogni caso, Prandelli non può che ricordare con affetto quegli anni straordinari: “Firenze non si accontenta mai, pretende che la squadra vinca e convinca. I tifosi fissarono un obiettivo e noi lo centrammo: perciò sono rimasto legato a tutti di quella squadra“. E c’è un giocatore in particolare, al quale si legò in quelle stagioni: “Martin Jorgensen sembrava non lo volesse nessuno: né noi, né l’Udinese comproprietaria del cartellino. Ce lo aggiudicammo alle buste, spendendo davvero poco, e pareva che ci fossimo accollati un peso. Invece si dimostrò un valore aggiunto. Persona straordinaria, per me è stato un riferimento. Se c’erano malesseri nello spogliatoio, lui fungeva da equilibratore. Di più: ha alimentato l’entusiasmo del gruppo“.

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Sempre a proposito del giocatore danese, Prandelli racconta un aneddoto. Grazie alla duttilità scoperta proprio da lui, Jorgensen ebbe vita un po’ più lunga anche in nazionale: “In campo era un giocatore duttile e disponibile: esterno alto che giocava a destra o a sinistra, con me ha fatto anche il terzino. Ricordo che mi chiamò il c.t. della nazionale del suo Paese, la Danimarca: ‘Volevo ringraziarti: non sapevo più dove metterlo, tu mi hai dato l’idea’. Se un allenatore può contare su giocatori capaci di calarsi in un progetto tecnico e con l’atteggiamento giusto, ha risolto gran parte dei suoi problemi“.

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