Fiorentina, Amrabat: “Stufo del periodo no, sento grande responsabilità”

Sofyan Amrabat, centrocampista che milita tra le fila della Fiorentina, si è raccontato in una lunga intervista: dal passato non semplice fino al futuro ambizioso, passando per un presente con la testa sul terreno di gioco.

Sofyan Amrabat, centrocampista di proprietà della Fiorentina (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Sofyan Amrabat veste la maglia della Fiorentina soltanto da inizio stagione, ma ha già conquistato la fiducia della Viola. Il centrocampista, infatti, ha collezionato venti presenze, mentre i gol sono ancora zero. Il club di Rocco Commisso lo ha acquistato a gennaio dello scorso anno, lasciandolo tuttavia in prestito all’Hellas Verona per il girone di ritorno. La società lo ha poi chiamato a rapporto a settembre affinché desse una mano nella corsa alla salvezza. L’avventura del giocatore marocchino ai toscani è tuttavia soltanto agli albori.

Il classe ’96 si è raccontato in una lunga intervista pubblicata sui canali ufficiali del club viola. Tanti i temi trattati: dall’infanzia con un sogno da realizzare fino alle ambizioni ancora da rincorrere. Il presente, infine, con la maglia della Fiorentina.

L’infanzia di Amrabat

Sofyan Amrabat ha innanzitutto parlato della sua infanzia, a partire dai primi calci dati ad un pallone: “Come ogni bambino a cui piace qualcosa, a me, sin da piccolo, è sempre piaciuto il calcio. Il mio sogno è sempre stato quello di diventare calciatore”. Non sempre, tuttavia, è stato facile. “Nelle giovanili dell’Utrecht non è stato semplice. Andavo a scuola ogni giorno e le giornate erano davvero impegnative. Ero sempre impegnato. E per un ragazzino non è semplice. Ho visto molti calciatori smettere, perché volevano trascorrere del tempo con i loro amici. Uscivo di casa alle otto di mattina e andavo a scuola in bicicletta. Tornavo la sera, alle otto e mezza. Ci mettevo un’ora per andare e un’ora per tornare. Avevo lezione dalle otto e mezza alle due. Poi mi rimettevo in sella e andavo in stazione per prendere l’autobus e poi il treno per Utrecht”.

Eppure, il centrocampista marocchino non ha mai pensato di mollare: “Non era facile, erano giornate pesanti. Ma non ho mai pensato che fosse troppo complicato, volevo rincorrere il mio sogno. Sapevo, anche se ero molto giovane, che il lavoro è fondamentale per raggiungere i propri obiettivi. E questo vale per la scuola come per il calcio. Poi avevo l’esempio di mio fratello, che è anche lui un calciatore professionista. Anche questo è stato importante per me. I miei genitori dicevano sempre: “La scuola è la cosa più importante”. Non sapevo se sarei effettivamente diventato un calciatore. Nelle giovanili dell’Utrecht avevo circa 200 compagni di squadra – la squadra cambiava ogni anno. Di questi 200 giocatori, forse 2-3, al massimo 4 riuscivano ad arrivare in prima squadra”. 

Eppure il marocchino c’è riuscito, anche a costo di fare tanti sacrifici. A tutti piace avere una bella vita. È difficile, ma è a questo che devi pensare. Devi sapere per cosa lo stai facendo. Il mio unico interesse è il calcio. Lavoro tutti i giorni per migliorarmi, per la mia carriera, per aiutare la mia squadra e il mio club. Per me il calcio è un modo di vivere. Non si ferma agli allenamenti. Quando torno a casa penso a recuperare e a mangiare in maniera corretta. Ogni giorno richiedi al tuo corpo il massimo sforzo e il tuo corpo deve essere preparato a questo e poi deve recuperare. Per me fare sacrifici è semplice, perché so quello che voglio. Dico sul serio. Quando da bambino avevo una pausa di due settimane, durante l’inverno, in cui non andavo a scuola e non giocavo a calcio, non vedevo l’ora di riprendere la vita di tutti i giorni. Per qualche giorno è bello vedere gli amici, uscire, giocare, ma in fin dei conti a me la routine piace. Per me è sempre stato importante rendere orgogliosi i miei genitori e la mia famiglia, questa è sempre stata un’ulteriore motivazione per me. Avevo un obiettivo per cui lavorare. Volevo terminare la scuola e avere successo nel calcio, volevo giocare in prima squadra e giocare nel suo stadio. Ogni giorno prendevo l’autobus davanti allo stadio per tornare a casa e sapevo per cosa stavo lavorando. Ero stanco ma sapevo per cosa lo facevo”.

Le amicizie

Il centrocampista, inoltre, ha ammesso di non avere avuto grandi relazioni, anche all’interno del mondo del calcio stesso. Almeno in un primo periodo. “Quando ero piccolo non avevo molti amici. Ero sempre impegnato. Semplicemente, non avevo tempo. Andavo a scuola e poi andavo ad allenarmi. Ovviamente c’erano i miei compagni di squadra, alcuni amici della mia città che conoscevo da tempo. Ho sempre avuto una cerchia ristretta di amici. Ho alcuni amici e famigliari che per me sono importanti e che vengono spesso a trovarmi. Non sono cambiato molto. Vedo le cose allo stesso modo, la mentalità è sempre la stessa. Chiaramente, più cresci più cose impari. A volte ci si avvicina alle persone per determinati motivi, ma i veri amici si contano sulle dita di una mano. Non ho cambiato amici. So come la pensano alcuni, a volte; che ci sono persone che non mi starebbero vicine se non fossi un calciatore. Con le persone che conosci sin da quando sei piccolo, le cose sono diverse. Lo stesso vale per le ragazze. A volte ti chiedi se ti darebbero le stesse attenzioni se non fossi un calciatore. Alcuni giocatori fanno presto a fare amicizia, ma non puoi mai sapere se sono veramente degli amici”.

Sofyan Amrabat in azione in Serie A (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Il presente da professionista

La vita di adesso, per Sofyan Amrabat, è molto diversa. Da professionista ha infatti molte più responsabilità. “Mi piace la pressione. Il mio agente mi dice sempre: “Se c’è una partita importante, non mi preoccupo”. Mi piace giocare in stadi pieni, con i tifosi avversari che mi fischiano. Questo è quello che voglio, questo è il motivo per cui gioco a calcio. Detesto giocare in queste condizioni, con gli stadi vuoti. Non percepisco l’energia. In questo momento ci sono persone in diversi ambiti che non stanno lavorando. Bisogna sempre pensare a chi si trova in difficoltà. Per noi giocare in stadi vuoti fa la differenza. Se si guardano le partite che vengono disputate in questo periodo in tutto il mondo, si nota come il livello si sia un po’ abbassato dappertutto, così come l’intensità. Forse commettiamo più errori. Ad esempio quando passi la palla indietro al portiere o a un compagno marcato, il pubblico inizia subito a rumoreggiare, a urlare “uomo”. Ora come ora, non si sente nulla del genere. Perché sei più concentrato e concedi meno all’avversario. Se subisci uno o due gol, i tifosi vogliono la tua testa. È una cosa mentale. Non dovrebbe succedere, ma a volte capita. Non è come fare allenamento, perché ci sono comunque dei punti in palio, ma con lo stadio pieno cambia tutto. È una sensazione che provi in maniera automatica, è come quando guardi la partita in televisione, senza il pubblico. Si gioca a calcio per i tifosi. Comprendiamo che ora non sia possibile fare altrimenti, ma il calcio senza pubblico non è la stessa cosa”.

E sul momento negativo che la Fiorentina sta vivendo: ““Sono stufo di questa situazione. La società mi ha voluto fortemente e questa non è la posizione in cui volevamo essere. A volte le persone pensano che ai calciatori non interessi o a volte ci sono calciatori a cui non interessa. Ma io non sono così. Sento una responsabilità nei confronti del club, della città di Firenze, dei tifosi della Fiorentina. È una grande responsabilità. Io non penso “Ok, ho giocato, che si vinca o si perda io vado a casa, non mi interessa più”. Invece la partita me la porto a casa. I miei genitori me lo vedono in faccia. Se la partita va male, è meglio non parlarmi. Se sei un vincente, vuoi vincere sempre. Io voglio vincere ogni settimana. E se perdiamo, non sono certo contento. Per i fiorentini, la Fiorentina è tutto. E io sento una responsabilità nei confronti di tutto questo.  Non è soltanto un lavoro, lo faccio per le persone, è la loro vita. Possiamo renderle felici”. 

Amrabat tra Marocco e Olanda

Sofyan Amrabat, infine, ha parlato delle sue origini. Marocchino di nascita, ma cresciuto in Olanda. “Sono marocchino, i miei genitori sono marocchini, i miei nonni sono marocchini. Ho sangue marocchino. Quando vado in Marocco sento dentro di me – non riesco a descriverlo a parole – di essere a casa. Anche l’Olanda è la mia casa, ho un rapporto speciale con il paese. Ma il Marocco è unico”. E sul continente africano: “L’Africa è un altro mondo. Quando viaggiamo per andare a giocare in trasferta, vediamo un altro mondo. Le strutture non sono come quelle che ci sono in Europa. In Africa c’è povertà, gli stadi sono vecchi, ma ogni volta viviamo una bellissima avventura. Una volta abbiamo giocato nelle Comore, in un’isola minuscola. Lì il campo era sintetico e sembrava di giocare nella giunga perché intorno era pieno di alberi. Ovviamente non speri di giocare ogni settimana in un campo del genere, ma vedere queste cose ti fa vivere esperienze positive. Impari anche molto, perché il calcio africano è diverso da quello europeo. È una vera e propria battaglia. Anche in Europa le partite sono delle battaglie, certo, perché tutti vogliono vincere. Ma in Africa si punta molto sulla corsa, sui contrasti, su questo tipo di cose, ed è bello. Le persone in Africa non hanno molto, non hanno case normali come le nostre, ma sono sempre sorridenti, sempre felici. La felicità non si ottiene con i soldi, con le case o le macchine lussuose. Queste persone non hanno praticamente nulla, sono felici se alla fine della giornata sono riuscite a mangiare qualcosa.  Ma se le vedi, vedi che sono felici”. 

“Ho un ottimo rapporto — precisa Amrabat anche con l’Olanda. Sono nato lì e ho vissuto lì per gran parte della mia vita, da quando sono nato fino ai 22 anni, quando mi sono trasferito in Belgio e poi in Italia. Ho trascorso lì quasi tutta la mia vita. Certo, ho sangue marocchino e mi sento marocchino. Ma sono nato lì, quindi l’Olanda è una parte importante della mia vita. Anche l’Europa è importante per me. Sono cresciuto in Olanda, lì sono andato a scuola e ho ricevuto un’ottima istruzione. L’Olanda e il Belgio sono simili, l’Italia è diversa. Prima di trasferirmi qui, avevo sentito parlare molto bene dell’Italia. Ci ero già stato una volta, a Napoli, quando giocavo nel Feyenoord. E ho anche segnato in quella partita, era una gara di Champions League. In quell’occasione, ho visto per la prima volta l’Italia. Napoli, il mare, il cibo. Poi mi sono trasferito  a Verona e quindi a Firenze. L’Italia è un paese fantastico. Capisco perché i calciatori non vogliano andare via dall’Italia. La vita, la gente e il calcio sono fantastici. Non voglio fare paragoni, ma per alcune cose assomiglia al Marocco. Sin dal primo giorno, in Italia mi sono sentito a casa”. 

La Nazionale

Alla fine il centrocampista ha però scelto di vestire la maglia del Marocco.“Inizialmente, ho giocato per le nazionali giovanili olandesi. Prima con l’Under-15 e poi con l’Under-16. Successivamente, il Marocco si è qualificato ai Mondiali Under-17 e voleva allestire una squadra forte. Quindi Pim Verbeek, un olandese che purtroppo è venuto a mancare e che all’epoca era il coordinatore delle nazionali giovanili marocchine, è venuto in Olanda per parlare con me e con mio padre. “Vogliamo te, vogliamo che tu venga con noi ai Mondiali Under-17 a Dubai” – ha detto. Mi ha colpito, non potevo dire di no. Quindi ho partecipato ai Mondiali Under-17 con la maglia del Marocco e da quel momento difendo i colori di quella nazionale. Ho giocato con l’Under-20 e con l’Under-23 marocchine. Poi, un giorno, quando avevo 18 anni, l’allenatore della Nazionale maggiore Badou Zaki mi ha convocato per giocare un’amichevole contro l’Uruguay. Non sono sceso in campo in quell’occasione, ma la mia prima volta con la Nazionale maggiore è stato qualcosa di speciale”.

Nella prima squadra dell’Utrecht — racconta Amrabat  ho iniziato a giocare e a migliorare. A 20 anni ho esordito con il Marocco. Ero infortunato, ma l’allenatore (Hervé Renard) mi ha chiamato lo stesso. Ho giocato per il Marocco, ma non era una gara ufficiale, bensì un’amichevole. Potevo ancora cambiare idea. Poi c’è stato un periodo in cui non ho giocato né per l’Olanda né per il Marocco. Poi sono passato al Feyenoord e con il Feyenoord ho giocato delle ottime partite in Champions League. In Olanda, quindi, è iniziato il dibattito. “Forse ci serve”, si diceva. Dick Advocaat e Ruud Gullit mi hanno chiamato, perché volevano parlarmi. Perché dire di no? Advocaat è un grande allenatore, lo rispetto. Quindi sono andato a parlare con lui ,assieme al mio procuratore. È stata una conversazione molto interessante, Advocaat è una persona fantastica. Abbiamo parlato per due ore e mi ha detto che mi voleva in Nazionale. Avevo già esordito con il Marocco, non ufficialmente, ma comunque avevo esordito. Ho iniziato a riflettere. Avevo dei dubbi, perché, comunque, in Olanda ci ero cresciuto”.

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E sulla scelta definitiva: “Il capo della Federazione marocchina è venuto a saperlo e mi ha detto: “Puoi venire in Marocco, per favore? Voglio parlare con te e con i tuoi genitori.”. Ho detto: “Perché no?” e quindi sono andato. Mi ricordo di essere andato in Marocco con i miei genitori per tre giorni e tutto era stato organizzato alla perfezione. Abbiamo parlato con lui e mi è stato detto che stavo facendo bene. che ero marocchino e che volevano che continuassi a giocare per il Marocco. Poi siamo andati a vedere una partita valida per le qualificazioni al Mondiale. Il Marocco si è imposto sul Gabon per 3-0 a Casablanca. Lo stadio era pieno, c’erano 60 o forse 70 mila persona. L’atmosfera era incredibile. Se ci ripenso, mi viene la pelle d’oca. Quando ho assistito a quella partita e ho visto tutte quelle persone, dentro di me sapevo che non avrei potuto cambiare idea, sapevo che non avrei potuto giocare per un altro paese. Forse la Federazione marocchina era riuscita nel suo intento”.

“Una settimana dopo — prosegue Amrabatho chiamato Dick Advocaat per ringraziarlo dell’interesse. Gli ho detto che volevo che fosse il primo a sapere che avevo deciso di continuare a giocare per il Marocco. Mi ha risposto “Peccato. Ma rispetto la tua scelta”. Non è stato facile ma alla fine quella è stata la mia decisione. Molte persone mi dicono che avrei avuto più possibilità di vincere qualcosa se avessi scelto l’Olanda. Ma non si può mai sapere. Con il Marocco ho partecipato a un Mondiale a cui l’Olanda non ha partecipato. L’Olanda è tornata a essere una grande squadra, con molti giocatori giovani, e sta tornando ai livelli che le competono. Ma questo è il calcio. E, soprattutto a livello internazionale, a volte capita di avere una squadra forte, a volte meno. Ora l’Olanda è nuovamente una Nazionale forte e sarà nuovamente tra le migliori”. 

Il centrocampista adesso ha fiducia nella sua Nazionale. “Stiamo crescendo, tutto è ben organizzato. A livello di strutture, ad esempio, hanno costruito un nuovo centro sportivo federale e questo è qualcosa di incredibile. Ci sono una cosa come 10 o 15 campi, sia esterni che indoor. C’è tutto quello di cui hai bisogno. Dormiamo lì, tutto è perfetto. Il Marocco sta crescendo, c’è un ottimo allenatore e abbiamo un grande potenziale. Ci sono tutti gli ingredienti per fare qualcosa di importante. Quando abbiamo di nuovo partecipato a un Mondiale dopo 20 anni, l’emozione è stata incredibile. I marocchini facevano festa in Olanda, in Francia, in Belgio, ovunque. In Marocco la gente piangeva. Vedevi quanto fosse importante per le persone. Anche chi non era generalmente interessato al calcio ha guardato quel Mondiale. Il Mondiale del 2018 è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Ci siamo già qualificati per la Coppa d’Africa, poi inizieremo le qualificazioni per il prossimo Mondiale. Abbiamo un grande potenziale e dobbiamo dimostrarlo sul campo. Penso che il Marocco possa ottenere molto a livello calcistico”. 

Sofyan Amrabat con la maglia del Marocco (Photo by OZAN KOSE/AFP via Getty Images)

Infine, a proposito del paragone tra il calcio olandese e quello italiano: “Già a 10 anni giocavo nelle giovanili dell’Utrecht e lì ho imparato molto. Penso che la scuola di calcio olandese sia molto buona a livello giovanile. Si lavora molto sulla tecnica e con la palla. Tutte le squadre in Olanda sono molto abili nel possesso palla, i giocatori sono tecnici e sono bravi con la palla tra i piedi. È una scuola calcio molto rinomata. A volte può sembrare troppo ingenua, ma sta cambiando. Il calcio sta cambiando in tutto il mondo. Ottenere dei risultati è fondamentale. L’Olanda e il Belgio sono simili. Anche in Italia ho imparato molto, sebbene sia qui da poco. C’è molta competizione, ci sono molti giocatori e club importanti. Il calcio è più fisico rispetto a quello olandese. È molto tattico, si impara molto sotto questo punto di vista. Bisogna essere scaltri. In Olanda ci si concentra maggiormente sul godersi il bel calcio. I club, gli allenatori, i giocatori e i tifosi a volte possono essere contenti di aver perso 1-0 ma di aver giocato bene. Ma, ovviamente, tutti vogliono vincere. In Italia la cosa più importante è il risultato. Se giochi male ma vinci, sei il più forte. Non importa come, devi vincere. Anche il modo in cui giochi è importante, ma alla fine devi vincere. Penso che questa sia la differenza più grande tra l’Italia e l’Olanda. Personalmente, mi piace giocare bene a calcio. Mi piace vedere le squadre che giocano bene. Ma non voglio giocare bene e perdere. Per quanto mi riguarda — sottolinea Amrabat  se giochiamo male ogni settimana ma vinciamo, siamo i più forti”.

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Il futuro di Amrabat

La chiosa è dedicata alle ambizioni: “Non penso troppo al futuro. Puoi lavorare pensando al presente o al futuro, Puoi avere molte idee e progetti, ma tutto può cambiare da un giorno all’altro. Al momento mi concentro sulla Fiorentina. Mi concentro su me stesso, sulla mia crescita, sul voler diventare un giocatore migliore, per aiutare il mio club e la mia Nazionale. Magari fra due anni la Fiorentina sarà la migliore squadra italiana. È difficile, ma nel calcio non si sa mai. Basta vedere come stanno andando le cose questa stagione e quante cose siano cambiate da quella scorsa. Sono molto ambizioso. Do il massimo per la Fiorentina. Se facciamo bene, le cose possono cambiare rapidamente. Sono musulmano, credo che tutto sia scritto. Non puoi stare a casa a dormire tutto il giorno, devi lavorare, devi dare il massimo. Penso— conclude Amrabat — che tutto sia scritto. Ma devi lavorare sodo”.

Chiara Ferrara

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Chiara Ferrara

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