La vita di Cherif Karamoko, attaccante originario della Guinea, è stata un calvario. A soli 16 anni è salito su un barcone per raggiungere l’Italia. Nel corso della traversata ha perso, a causa di un naufragio, il fratello.
La guerra in Guinea, la fuga ed il sogno di dare calci ad un pallone in Italia. Il filo rosso della vita di Cherif Karamoko è stato lo sport. Il classe 2000, che ha esordito due anni fa in Serie B con la maglia del Padova, ha fatto tanti sacrifici per arrivare a calcare i campi italiani. Su tutti quello di salire sul barcone colmo di migranti che lo avrebbe condotto verso il futuro. Per soddisfare questo grande desiderio suo fratello Mory ha perso la vita, donandogli il suo salvagente nel corso del naufragio in cui sono morti tanti clandestini. Un sacrificio che il giovane attaccante vuole ripagare a tutti i costi. La sua storia adesso è diventata un libro dal titolo “Salvati tu che hai un sogno”.
La vita di Cherif Karamoko non è stata semplice fin dalla nascita. Un’infanzia vissuta in povertà, con tante difficoltà da affrontare. Quando aveva 13 anni, il calciatore ha perso il padre ed in fratello maggiore in una una guerriglia nel corso della guerra di Guinea mentre cercavano di respingere un assalto alla propria casa. Due anni dopo la morte della madre, una delle vittime dell’epidemia di Ebola. Lui e Mory, rimasti orfani, hanno dunque deciso di provare la traversata verso l’Italia, salendo su un barcone carico di clandestini. Lì sarebbe scomparso il fratello, che lo aveva spinto a tentare la sorte per realizzare il sogno di giocare a calcio.
“Su quella barca potevano starci 60 persone, ma noi eravamo in 143. Era piena, non ci stavamo, ma chi aveva organizzato il viaggio era armato e ci ha spinto a forza tutti dentro. Non c’era spazio per muoversi. Nella notte abbiamo iniziato a imbarcare acqua. A quel punto è nata una battaglia disperata per accaparrarsi i salvagenti, che erano pochissimi rispetto a quanti eravamo. La gente urlava e non si capiva niente“. Lo ha raccontato il giocane calciatore in un’intervista andata in onda nel corso della puntata di Verissimo di sabato 27 febbraio.
Proprio nel momento del naufragio il fratello Mory ha scelto di sacrificarsi per lui: “Quando la barca è affondata ci siamo aggrappati ad alcuni pezzi dell’imbarcazione. Ero senza forze, faceva freddissimo e avevo bevuto un sacco di benzina. All’improvviso mio fratello mi ha allungato un salvagente e mi ha detto di tenere duro, che sarebbe arrivata la nave italiana a salvarci. Mi ha detto di salvarmi perché dovevo giocare a calcio. Lui era al mio fianco e non mi sono accorto quando è scomparso nelle onde. Sono svenuto e mi sono risvegliato in ospedale in Italia“.
Cherif Karamoko non riesce ancora a rassegnarsi all’idea che Mory non ce l’abbia fatta: “Ancora oggi non credo a quello che è successo. Forse si trova da qualche parte in Italia o è in Libia, non lo so. Quando eravamo a Tripoli mi diceva di guardare le luci in fondo al mare, che lì c’era l’Italia, il posto dove avrei potuto realizzare il mio sogno“.
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