A poche settimane dall’inaugurazione della Coppa del Mondo 2022 del Qatar, esce un report che evidenzia come il numero dei morti fra la manodopera del paese sia cresciuto esponenzialmente dopo che il paese si è aggiudicato l’organizzazione della competizione sportiva
Circa 6.500 lavoratori immigrati in Qatar da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka sono morti in Qatar da dicembre 2010, quando il paese è stato designato per ospitare la Coppa del Mondo del 2022. Questo è quanto rivela un’indagine del The Guardian, che sostiene anche che il numero dei morti sia sottostimato.
Il numero totale dei decessi, infatti, dovrebbe essere rivalutato al rialzo, dal momento che il report tiene conto solo dei lavoratori migranti da alcuni paesi escludendo ad esempio la manodopera importata dal Kenya e dalle Filippine. Inoltre, non è stato incluso del calcolo qualsiasi morte avvenuta nel mese di dicembre 2020.
Le morti non sono esclusivamente collegate ai lavori per la Coppa del Mondo 2022 del Qatar. L’inizio dei lavori, però, ha segnato un incremento deciso del trend. Lo conferma Nick McGeehan, direttore di FairSquare Projects: “Una percentuale molto significativa dei lavoratori arrivati in Qatar dal 2011 hanno lavorato nei cantieri della Coppa del Mondo“.
May Romanos, ricercatore nell’area per conto di Amnesty International ha anche aggiunto: “C’è putroppo una mancanza di chiarezza e trasparenza riguardo le cause della morte” ed ha invocato da parte del Qatar l’adozione di misure di maggiore protezione a favore dei lavoratori, come già fatto del resto dall’importante federazione sindacale Ituc.
Molti lavoratori provenienti dal sud est asiatico, una volta arrivati in Qatar cadono vittime della kafala. Si tratta di un sistema di schiavù moderno applicato a circa due milioni di migranti in Qatar. Il loro datore di lavoro li priva dei documenti: senza l’approvazione del loro sponsor – cioè il datore di lavoro – non possono cercare altra occupazione.
Senza documenti, i lavoratori non possono neanche guidare ed in media sono costretti a lavorare anche venti ore al giorno. Gli alloggi degli addetti alla manodopera spesso sono delle vere e proprie baracche senza aria condizionata. Tutto questo in un paese dove si superano anche i 50 gradi e l’umidità è molto elevata.
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