Calcio

Juventus specchio del calcio italiano: per rialzarsi occorre una rivoluzione

L’uscita di scena della Juventus contro il Porto è la punta dell’iceberg del momento nero del calcio italiano. Le tre finali europee nell’ultimo decennio non possono bastare. Il movimento ha bisogno di uno scossone dall’interno.

La faccia di Ronaldo dice tutto – meteoweek.com (Photo by Valerio Pennicino/Getty Images)

La palla entra in maniera beffarda, dopo essere passata vicino a una selva di gambe e soprattutto dopo la deviazione non definitiva di Szczesny. La panchina del Porto scatta in piedi, corre verso il centro del campo ed esulta con chi sta ancora giocando, perchè l’impresa è ormai dietro l’angolo. Pochi minuti dopo arrivano i tre fischi del direttore di gara. Da una parte c’è il trionfo, dall’altra c’è un mix di disperazione e rabbia. Alla fine, sul campo ha perso la Juventus. Ma in fin dei conti, ancora una volta, a perdere nel suo complesso è il calcio italiano.

Ancora una volta, infatti, la squadra che ha dominato l’ultimo campionato – o per meglio dire, gli ultimi nove – esce di scena dalla Champions League con notevole anticipo. Sia rispetto al previsto, se consideriamo il valore del carnefice dei bianconeri. Sia rispetto ai programmi societari, se invece consideriamo gli investimenti della famiglia Agnelli. Il fatto che la squadra campione d’Italia, che ha speso più di tutte e ha esteso più di tutte il proprio palmares nell’ultimo decennio, venga fatta fuori da una formazione modesta come il Porto, non può non fare riflettere.

Juventus specchio del calcio italiano

La crisi europea della Juventus, che poi riflette quella del calcio italiano, potrebbe essere vista su due piani differenti. Sotto un certo aspetto, soprattutto verso la fine del ciclo-Conte e all’inizio di quello di Max Allegri, bisogna tenere in considerazione l’assenza pressochè totale di rivali per i bianconeri. Gli scudetti vinti dalla Vecchia Signora sono arrivati molto spesso con alcune giornate di anticipo e con abbondante vantaggio sulle inseguitrici in termini di punti. Questo ha probabilmente fatto scemare la fame di Bonucci e compagni, oltre a far “scendere sulla terra” i campioni d’Italia al momento di affrontare le notti europee.

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D’altro canto, però, c’è da tenere in considerazione un evidente appiattimento verso il basso del livello delle cosiddette grandi. Il fatto che basti una buona organizzazione di gioco per godersi qualche giornata nelle parti alte della classifica, a fronte di un livello tecnico decisamente inferiore alla media, ne è un chiaro segnale. Per carità, squadre come Atalanta, Sassuolo e Verona meritano tutti gli applausi del caso. Ma il calcio italiano ha bisogno di altro. Il calcio italiano ha bisogno di una Juventus che torni al top anche in Europa, così come di un Milan che tanto bene ci aveva abituato nelle notti europee degli Anni Novanta e di inizio secolo e di un’Inter, che con la Champions del 2010 resta l’ultima italiana ad aver vinto un trofeo europeo.

Il nuovo tonfo della Juventus fuori dai confini nazionali non può e non deve essere visto come un episodio. Così come non lo sono le dolorose eliminazioni dell’Inter dai gironi di Champions delle ultime tre stagioni e altri risultati terribili delle nostre rappresentanti. Il Napoli anestetizzato dal modesto Granada, il Milan che supera la Stella Rossa grazie a due pareggi, e così via. Tutto troppo brutto per essere vero.

Rifondare per ritrovare lustro

Ecco allora che il calcio italiano ha bisogno di qualcosa di nuovo – o forse di antico – per poter tornare a un passo dalle stelle. Sono troppi gli anni in cui le nostre squadre hanno subìto delle bastonate leggendarie lontano da casa. Ed è evidente l’arretratezza culturale e strutturale, oltre che tecnica ed economica che i club di casa nostra manifestano al cospetto delle big del Vecchio Continente. Occorre modificare qualcosa, oppure rifondarla in maniera radicale, per ricostruire l’immagine di un calcio in lento e inesorabile declino, sul piano dei risultati e non solo.

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Una prima idea potrebbe essere quella di un ritorno all’antico, in merito al numero di squadre nei campionati. Venti sono troppe, diciotto potrebbero essere quelle giuste per tanti motivi: meno partite in calendario, migliore ripartizione del denaro derivante dai diritti TV e un inevitabile miglioramento del livello medio. Sembra quasi inutile ribadire altri concetti, come la rivalutazione dei settori giovanili e una migliore strutturazione delle “squadre B”, visto il livello bassissimo del Campionato Primavera. Così come la questione stadi di proprietà, per un introito extra per tutti i club.

Ma nel frattempo, per un altro anno, il calcio italiano si lecca le ferite.

Francesco Cammuca

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